Sull’idea di incertezza nella critica testuale – Seconda puntata

Il rapporto tra editore e manoscritto. Primo ambito di incertezza 

Eccoci qua. Pronti per ripartire con la nostra riflessione sull’incertezza nella critica testuale. Cinture ben allacciate.

Cominciamo dal primo livello: il rapporto “solitario” tra un soggetto e un oggetto, ovvero tra l’editore e il manoscritto. Proviamo a calarci nei panni di un filologo che deve allestire l’edizione critica di un testo letterario. Non si tratta, però, di un lavoro arido e privo di humanitas: il filologo non deve solo comprendere e possedere il testo stesso, ma anche chi l’ha scritto. Ha bisogno di entrare nell’anima dell’autore, pur essendo consapevole dell’effettiva impossibilità dell’operazione. Per questo è necessario che sia prudente e guardingo, che non si fidi di nessuno (o di pochi); non deve seguire sentieri che appaiono pianeggianti e ben battuti. Spesso la verità si nasconde dietro le sterpaglie, dove la terra è fangosa e scivolosa, in luoghi che non avrebbe mai immaginato. È un viaggio pericoloso, questo è fuor di dubbio, ma tremendamente affascinante; specie se è stato intrapreso da qualcun altro prima di lui che, giunto a una certa meta, ha creduto che quella fosse la meta (ma esiste davvero, la meta?). La sfida del filologo è arrivare a un punto più lontano di quello raggiunto dal suo predecessore; e, una volta raggiunto, andare avanti, ancora avanti, e proseguire fino a non stancarsi mai: con la possibilità che la prima trappola possa da un momento all’altro riportarlo al punto di partenza.

Il primo ambito d’incertezza cui si richiede una domanda di teoria è su ciò che vi è, o, più precisamente, su ciò che diciamo vi sia: il numero e la tipologia dei manoscritti che contengono il testo di cui si vuole fornire l’edizione. Per fare un esempio: com’è noto, solo tre manoscritti ci tramandano gran parte della poesia siciliana e toscana del XIII e del XIV secolo; ma chi ci dice che nel futuro non verremo a conoscenza di altri testimoni altrettanto o più rilevanti?

Alcune edizioni condotte su uno o più manoscritti sono da decenni considerate definitive. Come scrive Enrico Malato, l’editio ne varietur è «l’edizione di un testo che si presuma o pretenda definitiva, e perciò immodificabile». Ma è possibile, ci chiediamo, considerare definitiva l’edizione di un testo basata sull’intrinseca incertezza del numero delle sue testimonianze? Per quanto si possa essere certi della loro qualità (e questo è un dato oggettivo), non potremo mai conoscere tutti i testimoni esistiti di un determinato testo; ma ciò non vale, sebbene con difficoltà, per tutti i testimoni esistenti. Questa constatazione, però, non è nuova nella storia della filologia: Gianfranco Contini (nella foto), infatti, (ma prima di lui, anche se in diversi termini, Joseph Bédier) sosteneva che il testo critico non fosse altro che l’ipotesi di lavoro economicamente più soddisfacente, mettendo in risalto proprio il risultato “ipotetico” (e quindi confutabile) cui può arrivare la critica testuale. In questa sede, però, in virtù di quanto detto prima, intendiamo soltanto individuare questo primo campo d’incertezza, isolarlo e riconoscerlo come tale.

Chiaro? Bene. Alla prossima allora.

Lorenzo Dell’Oso

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