Santa Rossella dei déclassés
Ma sì che l’abbiamo capito: Obama mostrerà i muscoli in Siria dispiegando gli squadroni Delta Force; wurstel, salsicce e prosciutto favoriscono l’insorgenza di tumori – però tranquilli, li mangia perfino il ministro della salute Beatrice Lorenzin –; Marino ritirerà le dimissioni con buona pace dei consiglieri del Pd; è stato il Márquez motociclista (dipoi che lo scrittore lo vedremo dopo) a cambiare traiettoria per inforcare dall’interno Valentino che sacrosantamente l’ha atterrato; la Commissione Europea concederà maggiore flessibilità di bilancio ai paesi che aiutano i migranti ed infine qualcuno vuole smontare l’Agenzia delle Entrate. Così almeno nelle parole del suo direttore, l’ex militante ds Rossella Orlandi.
Insomma Lady Fisco, speaker lo scorso anno alla Leopolda ed ora scornata dalla benedetta sentenza di declassamento a funzionari di 767 dirigenti divenuti tali senza concorso. Quattrocento di loro si sono opposti alla sentenza citando in giudizio presso il Tribunale civile di Roma la presidenza del Consiglio dei ministri e la stessa Orlandi, chiedendo il riconoscimento dello status di dirigenti a tempo indeterminato (ma non hanno fatto un concorso, che insistono?) oppure un risarcimento di 60 milioni di euro più svariate mensilità.
Passare da quasi 4.000 euro netti al mese a 1.700 non deve essere facile. Ma non riesco a dolermene più di tanto, pur comprendendo appieno l’umano, il familiare disagio che ne consegue. Penso piuttosto a tutti gli autonomi che a quella cifra non arriveranno mai. Alla ragione per cui da dirigenti ordinavano controlli nel 90% dei casi a partite Iva e micro e piccole imprese, nell’8% a media aziende e solo nel 2% dei casi alle grandi. Perché lì è più facile recuperarli? Perché lì sono ci sono i più deboli? I più facili da intimorire?
Ma lo sanno all’Agenzia delle entrate, ma lo sa Rossella, che le PMI in affanno che ancora non sono fallite verosimilmente falliranno in pochi anni perché gravate da cumuli di debiti bancari e fiscali insostenibili?
Fioccano ultimamente statistiche e previsioni – solitamente da fonti estere che dell’Italia sanno poco o nulla – misteriosamente compatte nel sostenere che l’Italia sarà più competitiva dopo le renziane riforme, che il Jobs Act e il processo telematico migliorano l’immagine del nostro Paese. Questo almeno negli annunci. Se poi vai a vedere: fischia!
Nell’appena rilasciato rapporto “Doing Business” pubblicato dalla Banca Mondiale è scritto nero su bianco che abbiamo agguantato il 45esimo posto per “facilità di fare impresa”. Dopo la Bielorussia. Fantastico no? I paesi analizzati sono 189. E sul fisco. Ah, be’, lì siamo al 137esimo posto, dietro la Colombia. «La vita si esauriva nel ricamo del sudario», scrisse il grande colombiano García Márquez, l’altro, un po’ come il Manzoni dei Baustelle, in Cent’anni di solitudine. E forse pensava anche al fisco. Scrivo “forse” perché non era italiano.
A presto.
Edoardo Varini
(28/10/2015)