Rompersi l’ossa non basta
Non è summo cum gaudio che ritengo di avere fondati motivi per suppore che i miei connazionali che anelano un secondo governo Monti siano gli stessi che si accalcano nelle file assolate occasionate dalle mostre gridate nelle pagine culturali per vedere i quadri che un giorno prima non erano andati a rimirare nella più ombrosa fra le quieti metafisiche delle vetuste stanze del museo d’arte municipale.
Sono gli stessi che credono all’uomo forte a credere al genio che imprime all’arti l’impronta impensata. L’anima grande che tutto sovrasta, il baudleriano albatros «che abituato alla tempesta ride dell’arciere / ed esiliato sulla terra fra gli scherni / non riesce a camminare per le sue ali da gigante».
Se chiedessi quanti fra voi lettori non credono che Leonardo fosse un genio quanti alzerebbero le mani? Pochissimi, se non nessuno. Ma se lo avessi chiesto a quel Tommaso Masini da Peretola figlio d’ortolano – per Leonardo, in Palazzo Vecchio, macinatore di colori – che un bel dì del 1506, sul colle fiesolano del Monte Ceceri si vide infilare alle braccia dal “genio” le cinghie dell’Ornitottero, la “Macchina del volo”, di faggio, rovere, ferro, ottone, corda, merlino catramato, pelle e sego, la macchina che avrebbe dovuto volare come il nibbio «sopra alli nugoli, acciò che l’alia non si bagni e per iscoprire più paesi» e che invece precipitò come una pera cotta, se l’avessi chiesto al buon Tommaso, dicevo, che pensate m’avrebbe risposto, con una gamba e qualche costola rotta?
Lui, lo “Zoroastro da Peretola”, una parola di dubbio sopra Firenze l’avrebbe sollevata. A noi italiani d’oggi invece, per capire che la macchina politica che ci hanno messo sul groppone non vola, le ossa rotte non bastano. Noi non lo possiamo credere che la tecnica non ci salvi, perché quand’anche con il governo tecnico ci andassimo a sfracellare siamo del tutto certi che la sanità regionale, per quanto cara come il fuoco, è anch’essa tecnicissima e dunque ci salverà. Ne siamo convinti, per Dio: in qualche centro di vera o presunta eccellenza, ci salverà.
Machiavelli e Guicciardini citavano come uomo forte e risanatore della politica lo spartano Licurgo: noi abbiamo Monti. Il primo, per evitare diseguaglianze tra gli spartani, proibì loro di maneggiare denaro: per essere precisi consentì solo la circolazione di monete di ferro, che rendessero di fatto l’arricchimento impossibile.
Il secondo non ha questo problema. Almeno non sembra. Se aumenti l’IVA non hai questo problema. Se ripristini l’ICI sulla prima casa, non hai questo problema. Non ridistribuisci nulla: togli e basta. «Questo governo non ha il tempo di ridurre le tasse» diceva il bocconiano Licurgo nel maggio. E i giovani non cerchino un lavoro a tempo indeterminato, a parte suo figlio, perché è oltremodo noioso.
Lo sentite lo scricchiolio delle ossa? E il crepitio del frangersi delle ali dell’Ornitottero? Continuiamo a ripetere “governo tecnico”, lo snoccioliamo come un rosario, come se questo composto lessicale avesse un senso. Un senso salvifico. Come se “governo” non significasse anzitutto “cura”, che è riguardo e attenzione ed umana partecipazione, empatia: quanto di più distante dalla tecnica.
A presto.
Edoardo Varini
(1/10/2012)