Per un pensiero di destra, coniugato a un’istanza sociale dell’agire politico

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Per un pensiero di destra, coniugato a un’istanza sociale dell’agire politico

Vorrei riprendere il discorso iniziato ieri in merito a che cosa sia, a cosa possa dirsi cultura di destra. Mi rendo conto che la confusione è enorme perché si tratta in realtà di tentare, almeno in Italia, l’intentato. Un attivismo sfrenato e irriducibile inteso come unico possibile antidoto alle secche della riflessione filosofica, l’anti-modernità, l’anti egualitarismo, l’anti-storicità: queste le componenti riconosciute tanto alla destra rivoluzionaria ottocentesca quanto al radicalismo di destra del secondo Dopoguerra.

Eppure c’è tra i due diversi momenti storici una differenza sostanziale, decisiva, discriminante. Il pensiero di destra degli ultimi sei decenni non ha mai tentato di mobilitare le masse, chiuso in un’ideologia elitaria che non voleva mettere in discussione il primato spirituale della propria classe dirigente. Una classe dirigente in realtà talmente frustrata da non riconoscere che la roccaforte in cui viveva arroccata non era stata una scelta ma lo scorno, il fio della sconfitta.

Partiamo da qui: il primo nemico di una cultura moderna di destra (lo so che a molti sembrerà un ossimoro ma non sarò mai io a negare il valore della storicità) è proprio l’elitarismo. Il seguitare a considerarlo una scelta, quando ammettiamolo, esso è il frutto di una cocente sconfitta.

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Il secondo nemico è la critica alla democrazia liberale di stampo borghese. Questa, la nostra, è e deve rimanere una società liberale. Il suo carattere borghese è certamente un limite – una cultura innegabilmente standardizzata ed un sostanziale mercantilismo – ma è anche una garanzia di pluralismo. La destra moderna dovrà dunque saper giocare ogni partita nell’alveo democratico: la ragione a prescindere non c’è. Né sarebbe auspicabile. 

Qui cessiamo la breve elencazione dei nemici di una vera e fattiva cultura di destra moderne ed iniziamo a vedere quali sono i punti di forza che essa può derivare dal suo passato. Per simmetria – e la simmetria è bellezza – ne elencheremo qui soltanto due: il recupero di un’identità culturale e sociale e la centralità della Tradizione. Parlo anche di una tradizione culturale alta, che sconfina nel mito. 

Il primo è il punto di forza della Lega. Questo in Italia è la Lega più che qualunque altro partito. Per questa ragione sto cercando di iniziare una riqualificazione culturale della destra italiana insieme a loro. Che non sono più un loro, sono un noi.

Non è da temere che l’identità culturale e sociale si incarni storicamente in ideologia. Si insiste spesso sul fatto che i regimi totalitari novecenteschi abbiano trovato loro origine e sostanza proprio nell’ideologia. Ma l’ideologia è pensiero e, permettetemi, le ideologie dei regimi totalitari del secolo scorso erano manifestamente d’accatto. Un’accozzaglia di maldigerite tradizioni evocate con una crassa e spesso colpevole inconsapevolezza. Una riduzione grossolana e bieca di concetti spesso elevatissimi declinati sistematicamente a solleticare gli istinti più bassi. “Ideologia”, vorrei qui dirvi, è una parola bella, purché rimanga fondata su quei principi illuministici che stanno alla base del pensiero liberale: Libertà, Uguaglianza, Fraternità.

Una vera cultura di destra dovrà dunque essere liberale? La mia risposta è sì, certamente sì. Il radicalismo presuppone l’astoricità e l’elitarismo, due cose incompatibili con una vera intenzione sociale dell’agire politico.

Il secondo punto di forza di cui dicevamo è la Tradizione, la sola a consentire la perfetta comprensione della storicità, che è poi la collocazione esatta del nostro presente. Per seguire il procedere di una società serve una sua esaustiva e ferma definizione. Esattamente come per seguire un cammino, un qualunque cammino, serve una via. Tradizione e Progresso non sono cose antitetiche. La prima è la strada, la seconda è la meta.

A presto.

Edoardo Varini

(05/11/2015)

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