L’iPhone 5 Fabergé

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L’iPhone 5 Fabergé

«L’iPhone è già un record: due milioni di preordini nelle prime 24 ore». È un dato che significa qualcosa oltre a una grossa cifra sotto la voce “Attività” del bilancio di Apple? Significa che l’iPhone 5 è un prodotto nuovo? No, non credo. C’è una pagina sul sito della Mela che lo dice chiaramente: no. È semplicemente il migliore iPhone mai costruito.

Non credo che aumentate sottilezza e leggerezza bastino a motivare il vanto di «un design mai visto prima» che leggiamo alla pagina del sito dedicata al nuovo oggetto del desiderio. Lo stesso dicasi per il 90% delle prestazioni tecnologiche, definite anch’esse un po’ enfaticamente di nuova creazione. Chip A6, dopo i precedenti A5 e A4. Display retina da 4”: prima era da 3,5”, potremmo continuare così con tutte le voci.

Alla fine quel che puoi fare in più è scattare le foto mentre filmi: capirai! Però… però c’è quel display da 16:9, allungato, che è un capolavoro. E non parlo della forma, che se vogliamo è anche più scomoda: parlo della tecnologia che lo sottende.

È il primo display Retina con tecnologia touch integrata, il che significa che gli stessi pixel che visualizzano l’immagine funzionano anche come elettrodi sensibili. Prima erano due strati separati. Una finezza.

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L’obiettivo è in cristallo di zaffiro. Immagino che quello dell’iPhone 6 o forse al più tardi del 7, sarà di diamante. Infinite migliorie, ma la visionarietà si è persa. E il vantaggio di Apple è sempre stato questo: la capacità di rendere concreto il futuribile. Questo smartphone non mira ad anticipare i tempi, a soddisfare bisogni ancora insepressi o incompresi se non dalle élite intellettuali metropolitane. Questo smartphone mira alla perfezione. E la perfezione non è un mito moderno, è un mito antico, è uno sguardo a ritroso.

Guardate che questa cosa è per alcuni versi straordinaria, perché stiamo parlando di una perfezione di sostanza, non solamente estetica. Non è un’operazione di marketing. I primi aspetti sui cui interviene il marketing sono le forme, i colori, il prezzo. Qui non si è fatto che marginalmente questo. Lo si è fatto con estrema  misura. Senza ostentazione alcuna.

Qui si è si è limato, cesellato, niellato. Si è mirato alla preziosità. Ricordando il tempo in cui frequentavo l’aula di archeologia vi parlerò di ellenismo citando Agesandro e la scuola di Rodi, di virtuosismo. Lo stesso di Carl Fabergé, per intenderci, il gioielliere russo divenuto celebre per il minuto splendore delle uova di Pasqua commisionategli dallo zar.

Ecco, Tim Cook, l’ad dell’azienda di Cupertino, somiglia più a Carl Fabergé che non al suo visionario predecessore. Forse perché la visione del futuro è divenuta talmente ombrosa… Come le sale della Venaria Reale, dove fino al 9 novembre potrete vederne 13 di queste uova di smalto e preziosi per le zarine d’un tempo. A quelle moderne è già stato fatto il preordine.

A presto.

Edoardo Varini

(18/09/2012)

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