La svalutazione cinese: il poco chimerico, economico danno
Dicono che la Cina abbia svalutato il renminbi “a sorpresa”, ma non è stato così, era da tempo la cosa più logica da fare. Il calo dell’export dell’8,3% luglio su luglio, quello dei prezzi alla produzione, la diminuzione della domanda interna non lasciavano alla banca centrale altra soluzione. Così come la necessità di fare dello yuan una valuta internazionale sempre più rilevante nelle transazioni cross border e come valuta di riserva, fino ad entrare nel paniere monetario del FMI.
Una mossa propedeutica alla maggior liberalizzazione del sistema di cambio, quindi, e – perché no – anche una “svalutazione competitiva”. Chi crede che la politica monetaria mondiale stia per conoscere una restrizione si sbaglia di grosso: la normalità è divenuta improbabile come una chimera, ma il vero problema è che il perdurare dell’anormalità di un’incessante iniezione di liquidità e di un abbassamento dei tassi è chimerico anch’esso.
Non arriverà Bellerofonte a cavallo dell’economia reale a scagliare la lancia nelle fauci del mostro. Sì è venduto l’alato destriero per comprarsi un iPhone e fotografare e postare e condividere e twittare l’esplosione di navi nel porto di Tianjin. L’unica cosa reale sembra essere il danno. L’unico rimedio la velocità. L’unica gruccia spirituale la mistificazione.
A presto.
Edoardo Varini
(13/08/2015)