Fosse solo che non vogliono i dossier di Cottarelli: è che fanno lo stesso con i diritti umani
Sono pronte da marzo le relazioni del commissario straordinario alla spending review Carlo Cottarelli. È solo che il governo non le vuole divulgare. Perché apparirebbe ancor più chiaramente che la differenza tra il taglio da 17 miliardi previsto per il 2015 e l’impossibilità di attuarlo è nessuna.
Riferiscono che il commissario si sia detto pronto a lasciare l’incarico a ottobre, e probabilmente accadrà. Se dici che: «Se si utilizzano risorse provenienti da risparmi sulla spesa per aumentare la spesa stessa, il risparmio non potrà essere utilizzato per ridurre la tassazione sul lavoro» non puoi andare a braccetto con Renzi, che dice il contrario.
Il problema è che ad essere in disaccordo con la verità si finisce nel torto. E quando ad essere nel torto è il Presidente del Consiglio di una nazione che deve risollevarsi economicamente al più presto o morire, viene da chiedersi fino a che punto ci si possa consentire di sedersi da quella parte così, per noncuranza o per sfizio, giusto perché gli altri posti erano occupati, per parafrasare Bertolt Brecht.
Di fronte alle revisioni al ribasso dell’andamento del Pil nazionale recentemente diffuse dal Centro Studi di Confindustria e del Fondo Monetario Internazionale, ho sentito dire a Matteo: «Che la crescita sia 0,4 o 0,8 o 1,5% non cambia niente dal punto di vista della vita quotidiana delle persone». Se qualcuno sta cimentandosi nella stesura del nuovo Bouvard et Pécuchet, della nuova enciclopedia della bêtise umana, non perda tempo, se l’annoti.
Un punto di Pil in più consentirebbe a tutti noi di avere il livello di welfare teutonico. Stiamo parlando di 15,6 miliardi di euro. Le nuove generazioni forse non hanno nemmeno idea di che cosa significhi “welfare”, o per meglio dire “welfare state”: “stato sociale”. Bene, vorrei dire loro che ci fu un tempo in cui anche in Italia si cercò di garantire a tutti la fruizione dei servizi sociali ritenuti indispensabili, con politiche correttive dei disequilibri prodotti dal mercato. Si trattava di assicurare un tenore di vita minimo a tutti i cittadini, di dare loro sicurezza in caso di eventi avversi (naturali o economici che fossero) e di usufruire di due fondamentali opportunità: istruzione e sanità.
Ora questi tre obiettivi sono diventati soltanto uno specchietto per le allodole, un richiamo per allocchi, una biacca, un belletto per le gote ormai illividite e cadenti di questa nostra depauperata democrazia.
Il livello di disoccupazione Italiano è ben superiore alla media Ocse, più di un quinto dell’aumento totale della disoccupazione nell’Eurozona è dovuto all’Italia. Eppure quel che spendiamo per dare una minima sussistenza ai disoccupati è un terzo in meno della media, e quel che versiamo per assisterli e reinserirli nel mondo del lavoro è la metà.
L’Italia è l’unico paese Ocse in cui non esiste alcun tipo di sussidio per chi non ha mai lavorato o non ha una storia contributiva socialmente lunga o continuativa. La cassa integrazione copre soltanto 1/3 degli occupati: lavoratori autonomi, atipici e dipendenti di imprese sotto i 15 dipendenti non hanno il diritto alla sussistenza. Nemmeno temporaneamente. La perdita del lavoro è per loro la perdita della vita. Anche se non se la tolgono.
Sanità e istruzione sono sempre più costose e private, sono sempre più privilegi. Che cosa resta dell’idea di eguaglianza?
Forse non tutti sanno che il diritto alla protezione dalla disoccupazione è scritto nero su bianco nella Dichiarazione universale dei diritti umani proclamata il 10 dicembre del 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, all’Articolo 23: «Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro e alla protezione contro la disoccupazione».
E la cosa che davvero non si sa se ridere o se piangere è che ci siano governanti, che ci sia un’intera classe politica, che pensa di poter parlare di democrazia nel mancato rispetto dei fondamentali diritti umani. Che invece noi lo si consenta fa soltanto piangere.
A presto.
Edoardo Varini
(31/07/2014)