Cannoni d’acciaio a Versailles

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Cannoni d’acciaio a Versailles

Le fiamme delle tremila candele dei dorati lampadari rococò ingiungono la ritirata alla notte accampata nei trecentocinquantasette specchi della Grande Galleria di Versailles. Il trattato che pone fine alla Prima Guerra mondiale è stato firmato da appena qualche ora. La Francia non ha voluto giustizia, ha voluto vendetta, ha voluto la revanche. E l’ha avuta. Brucia ancora l’onta di Sedan. Gli elmi a punta dell’esercito prussiano, i pickelhaube, tavolta non culminavano con la cuspide ma con una sfera: erano quelli degli artiglieri. Cannoni d’acciaio contro cannoni di bronzo: l’Alsazia e la Lorena divennero tedesche.

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Ma il 28 giugno 1919 «la Germania riconosce che lei ed i suoi alleati sono responsabili, per averli causati, di tutti i danni subiti dai Governi Alleati ed associati e dai loro cittadini a seguito della guerra, che a loro è stata imposta dall’aggressione della Germania e dei suoi alleati» (art. 231 del Trattato). Pena l’occupazione militare, il popolo tedesco è condannato a risarcire l’equivalente di 300 miliardi di euro attuali. E paga per 91 anni, fino all’ultima rata da 70 milioni, versata il 30 settembre del 2010 presso il London Agreement on German External Debts.

Alla conferenza per la pace di Versailles partecipò il più grande economista del XX secolo, il britannico John Maynard Keynes. Ma non era più lì, a Versailles, il giorno della firma del trattato. Perché ormai «la battaglia è perduta», come scrisse in una lettera di venti giorni prima. Quale battaglia? Quella contro la stupidità. «Contro la stupidità anche gli dei sono impotenti. Ci vorrebbe il Signore. Ma dovrebbe scendere lui in persona, non mandare il Figlio; non è il momento dei bambini». Lo scrisse in Le conseguenze economiche della pace, esponendo una tesi allora inascoltata, che cioè non si dovesse infierire con un malriposto rigore su un paese con l’economia in difficoltà, ma occorresse all’opposto garantirgli il credito.

Leggo oggi che in cambio degli aiuti europei il governo greco dovrà accettare il licenziamento di 15.000 dipendenti pubblici e la riduzione del 20% dei salari minimi nel settore privato.

Pare che la stupidità abbia cannoni d’acciaio.

A presto. 

Edoardo Varini 

(9/2/2012)

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