«God bless America»

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di Fabrizio Pezzani

Prof. ordinario di Economia Aziendale, Università Bocconi

«Dio benedica l’America» è l’augurio con cui Papa Francesco ha chiuso i suoi interventi nel viaggio negli Stati Uniti d’America, ma è anche l’invocazione più forte dell’inno patriottico scritto da Irving Berlin. Forse mai come oggi quest’invocazione dovrebbe fare riflettere sul senso profondo del suo significato e non solo come ripetizione di una formula in modo taumaturgico ed esoterico. Mai come ora gli Usa hanno bisogno di fare un esame di coscienza per provare a capire il dramma sociale che ne sta spegnendo la genetica spinta verso la libertà, l’uguaglianza, la democrazia ed il diritto al perseguimento della felicità come i padri fondatori avevano solennemente dichiarato nella  dichiarazione d’indipendenza verso la corona inglese. Mai come ora gli Usa si trovano di fronte ad una sfida socioculturale che ne sta sgretolando la tenuta sociale, eppure erano stati loro a potere fare tornare la speranza ad un mondo che sembrava perso nell’orrore. Molta acqua è passata sotto i ponti della Storia da quei tempi ed ha contribuito a fare la Storia ma in modo diverso rispetto a quelle dichiarazioni, solennemente riprese nel 1948 quando dopo due guerre mondiali sembrava che l’uomo avesse ritrovato il senso della sua vita e del suo essere. Troppe mostruose atrocità erano state compiute in nome di diritti rivendicati come forma di sterminio e di oppressione.

Eppure dopo quegli anni di ritorno alla normalità, alla voglia di vivere e di ricostruire una casa per il bene comune globale siamo ritornati a vivere un dramma sociale senza fine e siamo ancora davanti al caos proprio nel paese che sembrava portarci verso un sogno di felicità. La lettura della storia e delle relazioni di causa ed effetto fra fatti ed eventi mostra sempre in modo crudo e spietato l’insipienza dell’ “homo sapiens “ e quanto la sua genetica sete di avidità lo porti sempre a sfidare il destino.

«Quid non mortalia pectora cogis, auri sacra fames» («A cosa non spinge i petti mortali la miserabile cupidigia dell’oro») scriveva Virgilio nell’Eneide, ripreso poi da Seneca, l’avidità morbosa dell’accumulazione è sempre pronta a stimolare la parte più violenta dell’animo umano fino a quando i nodi arrivano al pettine e la “Storia“ presenta il conto: ora siamo a domandarci come finirà.

I continui atti di violenza compiuti quasi ogni giorno vengono dai più – forse per comodo e non  mettersi in discussione – come sempre attribuiti all’uso facile delle armi da fuoco. Certamente questa è una parte della verità ma quella più profonda è che quelle armi sono caricate dal dramma sociale di una società in cui i valori espressi dalla formula «E pluribus unum» sono stati cancellati da una disuguaglianza senza pari nella loro storia e da una decadenza valoriale e culturale che sembra avvitarsi su sé stessa incapace di trovare le risposte ai problemi che un modello socioculturale in cui la democrazia ha finito per essere sostituita dall’oligarchia.

I seguenti grafici dimostrano come la violenza e l’incarcerazione si stiano autoalimentando :

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Questi sono i drammatici segnali di una società che sta cominciando a sgretolarsi e qui si entra nella storia  e nel ciclo di vita delle società che collassano  sempre per l’incapacità delle élites di fare fronte con coraggio e creatività alle sfide poste dal divenire della storia.  In questo modo le élites si ossificano per non mettere in discussione un modello che privilegia gli interessi personali a scapito del bene comune fino a quando le società iniziano a collassare. Sono i fatti  che nel 1989 hanno fatto saltare l’impero sovietico che stava già implodendo dal tempo dell’invasione in Afghanistan: questo stesso contesto sta facendo saltare la tenuta sociale degli Usa.

La storia ha i suoi tempi e questi vanno letti per capirne l’evolversi . Gli Usa svoltano la pagina della loro storia alla fine degli anni sessanta. Il 1968 è l’”annus horribilis”, il 30  e 31 gennaio l’offensiva del Tet lanciata nel Vietnam dal piccolo ma sapiente generale Giap stronca le speranze certe di vittoria che il supponente generale Westmoreland aveva dichiarato e lancia gli Usa nel dramma della sconfitta .

In aprile viene ucciso Martin Luther King, in giugno Robert Kennedy e con loro le speranze di libertà e di uguaglianza razziale. Finisce un periodo politicamente socialista,  il quintile più povero cresceva del 115 % ed il più ricco dell’85 %, con Kennedy il debito pubblico americano arrivò al punto minimo del secolo così come la disuguaglianza, ma era quello il momento dell’”american dream”, oggi cancellato dai fatti .

Negli anni settanta la svolta avviene con Nixon, che dichiarando lo sganciamento del dollaro dall’oro –  di fatto non avendone più –  lo rende convertibile in forza militare ed in portaerei e prepara la rivoluzione del neoliberismo assunto come fine e verità incontrovertibile . La moneta e la finanza infinte e scollegate dal mondo finito reale si preparano ad inondare il mondo  ad alimentare l’infinita avidità dell’uomo che diventa eutanasia della società mascherando con l’evidenza logica la verità che la moneta non ha valore in sé ma la deregolamentazione di Greenspan nel 1999  creerà i disastri generati da una finanza egemone e priva di regole morali.

Per creare la domanda di dollari sarà inventato il petrodollaro che inonderà il mondo di moneta e ci investirà con un ‘inflazione che ci avrebbe messo in ginocchio come si può vedere:

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Con Reagan si mostrano i muscoli celebrati nella cinematografia dai vari “Rambo” ed il debito pubblico esploderà per alimentare le spese belliche e la guerra  contro l’impero del male, la Russia, che stava già implodendo con l’attacco dell’Afganistan, ultima mossa disperata per tenere insieme il Paese.

Il mercato viene eretto a verità incontrovertibile ed i suoi sacerdoti – la scuola di Chicago e Milton Friedman – diventano i guru e come gli antichi maghi prevedono con certezza il futuro. Il nobel a Lucas è l’espressione più evidente dell’illogicità attribuita ai mercati razionali esistenti solo per comodo ma non nella realtà. I mercati finanziari, infatti, diventano illogicamente razionali perché il loro divenire è basato su aspettative non su conoscenze certe. I mercati sembrano prevedere con esattezza gli eventi futuri ma in realtà sono le aspettative degli eventi futuri che determinano l’andamento dei mercati . Ci sono oltre due millenni di storia che li smentiscono ma tanto nessuno la studia più e si guarda solo al futuro ed al breve tempo, lo stesso Keynes aveva scritto che il capitalismo come fine se non regolato è per natura instabile, perché esso non esiste come entità astratta ma esistono gli uomini-capitalisti che vedono come fine l’accumulazione infinita fino a quando l’eccessiva disuguaglianza gli si rivolta contro. Alla prova dei fatti Keynes aveva ragione e la scuola di Chicago è fallita non solo culturalmente ma moralmente per i danni globali che ha creato e prima o poi ne dovrà rispondere al tribunale della storia.

Da quel momento la finanza assume un potere egemone fine a sé stesso alla ricerca della massimizzazione a breve del profitto e della liquidità; il mantra «creare valore per gli azionisti» finirà per spolpare la società americana con la delocalizzazione della manifattura, il crollo degli occupati nei settori dell’industria e dell’agricoltura, il pil americano sarà costruito sulla carta della finanza, 24% , e non sulla manifattura, 11% , la concentrazione di ricchezza esploderà schiacciando la classe media, che è il lievito della civiltà occidentale e determinerà uno stato di povertà socialmente inaccettabile che li sta portando al punto di non ritorno. I seguenti grafici evidenziano il processo autolesionista dell’eutanasia del redditiere come lo definiva Keynes:

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Cambia completamente la composizione del pil, che in maggioranza è fatto di carta e non più dalla manifattura che li aveva fatti grandi e tutto il merito va al mantra delle loro prestigiose università in cui la finanza era stata eretta a pietra filosofale:

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Infine la globalizzazione della finanza consentirà alle grandi corporation usa di delocalizzare le imposte privando il paese delle risorse per ridurre i drammi sociali: all’aumentare dei profitti crollano le imposte che finiscono nei paesi black-list, il tax rate medio è 8,7 %, e crolla l’occupazione mascherata sistematicamente dalla Fed che la trasforma in sottoccupazione, in modo tale dal diminuire la disoccupazione ma aumentare la povertà:

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Le multinazionali cancellano gli occupati nel settore manifatturiero ed evitano le imposte, il capitale viene separato dal lavoro e dal Paese, mentre negli anni Settanta le imposte erano quasi l’8% del Pil ora sono solo lo 0,7% facendo venire meno le risorse per sostenere la disuguaglianza e la povertà, non avendo una spesa sociale come i paesi europei ma destinata all’economia bellica, che rappresenta il 50 % della spesa globale in armi.

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L’esercito soffre di problemi legati alla difficoltà dei soldati nell’identificazione del proprio ruolo ed a quale finalità sia destinata la loro missione, se  umanitaria o solo imperialista? Riconvertire un’economia di guerra in un’economia di pace è complicato in tutti i sensi e si rischia di andare in loop.

In tutto questo la Fed ha gravissime responsabilità nell’avere assecondato un processo contrario ai suoi fini: stabilire la politica monetaria nazionale influenzando la quantità di moneta in circolazione e le condizioni creditizie dell’economia al fine di perseguire il massimo impiego, supervisionare e regolare le istituzioni bancarie per assicurarne la sicurezza e la stabilità del sistema bancario e finanziario nazionale e proteggere i diritti dei consumatori, mantenere la stabilità del sistema finanziario e contenere il rischio sistemico che può nascere nei mercati finanziari. Il mancato controllo regolamentazione dei mercati finanziari ha generato l’espansione della massa monetaria, della finanziarizzazione dell’economia reale, della conseguente disoccupazione, della povertà ma soprattutto di una disuguaglianza che non può essere corretta nel breve tempo . Sono caduti nella trappola della liquidità e del QE iniettando liquidità in un sistema che senza manifattura non può crescere ma solo rischia di esplodere nell’ennesima bolla finanziaria. La crescita infinita di liquidità ha reso estremamente volatile la tenuta di una moneta, come tutte le altre, da tempo stampate in modo autoreferenziale ma senza nessuna correlazione o vincolo con l’economia reale che ne è stata sottomessa. La totale deregolamentazione della finanza ha consentito di costruire un mondo infinito staccato dalla realtà dove i prezzi dei beni finiti sono determinati da infinite scommesse che non si chiudono mai e che come sottostante spesso non hanno nulla, come dimostra il mercato fisico e dei derivati del petrolio e delle commodities:  a parità di quantità fisiche negoziate il prezzo viene determinato dalle quantità virtuali ed inesistenti che, sempre, le stesse istituzioni promettono di scambiarsi senza averle ad una certa data ma a quelle data la chiusura delle scommesse viene sistematicamente rinviata al futuro, non si chiudono mai ma servono a manipolare i prezzi giornalieri come srumento di arricchimento e di potere geopolitico :

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L’esplosione dei derivati ha reso incontrollabile il sistema monetario, che rimane il vero nemico della democrazia: qualsiasi soluzione della crisi antropologica in atto può partire solo dalla regolamentazione di un sistema esterno al mondo reale che ne condiziona ogni scelta politica, un sistema che va riportato al servizio dell’economia reale altrimenti ne rimarremo soffocati come sta succedendo con la trappola del QE.

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Il debito pubblico e privato continua a crescere fino ad arrivare ai 65.000 mld / $ mentre il pil non si schioda dai 17.000 mld / $ e non può crescere alla stessa misura del debito perché la manifattura è stata delocalizzata con un rapporto insostenibile  Il debito degli Usa dalla fine degli anni Settanta è sempre cresciuto con l’esplosione nel 2008, quando è stato usato per salvare le banche di Wall Street che avevano creato la crisi:

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La manipolazione dei media continua a creare confusione nella reale interpretazione dei fatti ma sembra che il Paese stia arrivando ad un punto di non ritorno con una disoccupazione mascherata sistematicamente dalla sottoccupazione.

In ogni caso la stessa crescita del pil con l’attuale struttura fiscale ha un’utilità negativa perché accentua la distanza tra ricchi e poveri e peggiora la tensione sociale determinata dalla crescente disuguaglianza e qui sta il problema di fondo. Solo il pil non misura la felicità era stato il monito di Robert Kennedy nel 1968 ripreso poi dalla commissione Sarkozy completamente svanita nel nulla.

Esiste infatti una stretta correlazione tra disuguaglianza e patologie sociali:  all’aumentare della prima la società si disgrega ed esplode. Gli Usa, terzo paese al mondo per disuguaglianza, ne sono l’evidenza empirica: il più alto tasso di incarcerazione , di mortalità infantile , di gravidanze precoci, di minorenni obesi, di abbandono scolastico, di povertà minorile – secondi solo dietro la Romania – di consumo di droghe, di omicidi, di malattie mentali – tra i farmaci più venduti vi è l’antidepressivo Prozac – di suicidi e potremmo continuare in un  elenco drammatico che svela il male dell’anima che ci si ostina a non vedere. Alla fine la frustrazione, l’isolamento, l’angoscia della solitudine finiscono per colpire i più deboli e comunque generare reazioni di violenza inusitata ed apparentemente incomprensibili spinte da forme deliranti. L’uomo non nasce naturalmente cattivo ma è il contesto sociale che alimenta la spinta verso l’aggressività omicida ed è  sempre il modello sociale a determinare la gerarchia dei valori ed i comportamenti umani. Fino a quando potrà durare una miopia così volutamente suicida che continua ad ignorare la sostanza di una crisi morale ed antropologica? Le prossime elezioni presidenziali, per certi aspetti, sono un segnale importante per i messaggi che i contendenti più ricordati vanno lanciando sulla necessità di tornare alla volontà dei padri fondatori in merito all’uguaglianza ed al diritto del perseguimento di una felicità che sembra ora negata. Scriveva Victor Hugo: «Si può fermare la forza di un esercito ma non quella di un’idea quando è venuto il suo momento». Oggi il rapido cambiamento dell’elettorato americano sembra segnare una linea da non oltrepassare per non finire nel caos. È sempre l’estrema lotta tra l’establishement che non vuole mollare il potere e la massa crescente che sta prendendo coscienza delle ingiustizie perpetrate a suo danno, in fondo «historia se repetit».

Per il bene degli Usa e del mondo intero ancora una volta: «God bless America».

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